Assegno divorzile svincolato dal criterio del precedente tenore di vita

Con la Sentenza n. 11504/2017 la Suprema Corte di Cassazione ha segnato una svolta epocale in materia di assegno divorzile.

Per la prima volta dopo l’entrata in vigore della legge sul divorzio, infatti, i Giudici della Suprema Corte hanno ritenuto di svincolare la assegnazione e la quantificazione dell’assegno divorzile dal criterio del mantenimento del precedente tenore di vita, per focalizzare l’attenzione sul parametro della indipendenza ed autosufficienza economica effettiva o anche solo potenziale del coniuge più debole.

I parametri per stabilire se tale autosufficienza economica sussista sono stati individuati nel possesso di redditi e cespiti, nella disponibilità della casa coniugale e nella capacità ed attitudine allo svolgimento di una attività lavorativa. Tale ultimo parametro, in particolare appare particolarmente significativo in quanto i Giudici non hanno limitato la mancata concessione dell’assegno di mantenimento al solo caso di effettivo svolgimento di una attività lavorativa da parte del coniuge richiedente l’assegno ma si sono spinti anche alla ipotesi in cui il coniuge, pur non lavorando sia comunque in possesso di professionalità tale da renderlo comunque potenzialmente autosufficiente. Con l’estinzione del rapporto matrimoniale, motiva la Cassazione, deve cessare anche ogni vincolo economico patrimoniale tra i coniugi che non trovi giustificazione nel dovere di solidarietà sociale.

La concessione dell’assegno divorzile, stando al nuovo orientamento, deve essere quindi limitata a casi eccezionali in cui il coniuge beneficiario dell’assegno si trovi in condizioni di effettiva difficoltà economica e nella concreta impossibilità di far fronte, da solo, alle proprie esigenze della vita quotidiana.

cassazione multe nulle 2017 Multe autovelox nulle: quando e come la Cassazione ammette il ricorso

Multe autovelox nulle: quando e come la Cassazione ammette il ricorso

Multe autovelox nulle: quando e come la Cassazione ammette il ricorso

La Corte di Cassazione civile è intervenuta di recente sul tema degli autovelox, con l’ordinanza n. 5532 del 6 marzo 2017, affermando che i dispositivi finalizzati al controllo elettronico della velocità non possono essere installati su strade che non rientrano nella tassativa e dettagliata classificazione di cui all’art. 2, co. 2 e 3, del Codice della strada. Nel caso specifico, la Cassazione ha sottolineato che l’installazione di autovelox su strade urbane a scorrimento veloce è legittima solo se sussiste una previa autorizzazione del Prefetto e sempre che quest’ultima sia stata adottata tenendo conto della classificazione delle strade contenuta nella disposizione sopra richiamata.

Ne consegue che il provvedimento prefettizio, che autorizzi il collocamento di autovelox presso strade diverse da quelle indicate nell’art. 2, co.2 e 3, Codice della strada, potrà essere disapplicato nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa e, contestualmente, la multa annullata.

E’ appena il caso di ricordare che la Suprema Corte, già con la sentenza del 20 dicembre 2016, n. 26441, aveva avuto modo di confermare l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la sanzione amministrativa per eccesso di velocità può formare oggetto di ricorso e, quindi, essere annullata, qualora non riporti gli estremi del provvedimento prefettizio che autorizza l’installazione dell’autovelox.

Merita, inoltre, di essere menzionata la sentenza dell’11 maggio 2016, n. 9645, con la quale la Cassazione aveva precisato che la sanzione per eccesso di velocità è, altresì, nulla se rilevata con un dispositivo elettronico non tarato; gli autovelox, infatti, devono essere periodicamente tarati e verificati al fine del loro corretto funzionamento.

Galileo before the Holy Office Gratuito patrocinio sempre garantito per le vittime di stalking

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Il Gratuito Patrocinio è un istituto finalizzato a garantire il diritto costituzionalmente garantito alla difesa (art 24 Cost.); come noto, l’istanza può essere inoltrata da soggetti non abbienti che necessitino di essere assistiti da un legale, alle condizioni indicate nel D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 76 (Testo Unico in materia di spese di giustizia). In particolare, il soggetto richiedente deve dimostrare che il proprio reddito annuo non supera la soglia di euro 11.528,41, come risultante dall’ultima dichiarazione ovvero da autocertificazione.

Non sempre, tuttavia, tali condizioni devono essere rigorosamente rispettate: l’art. 76, co. 4 ter, infatti, prevede, per alcune categorie di reati, una deroga ai tassativi criteri reddituali. Ed è proprio in relazione a tale deroga che la Corte di Cassazione, IV sezione penale, è di recente intervenuta, con la sentenza 20 marzo 2017 n. 13497, al fine di chiarire il significato della norma in commento. Quest’ultima, infatti, ha formato oggetto di divergenti interpretazioni sia in dottrina che in giurisprudenza.

Secondo un primo orientamento, il comma 4 ter dell’art. 76 D.P.R. n. 115/2002, non stabilisce una regola assoluta di ammissione al gratuito patrocinio, indipendentemente dal reddito della persona offesa dal reato di cui all’art 612 c.p., ma attribuisce al Giudice un ampio potere discrezionale; pertanto il Giudice potrebbe (ma non deve) ammettere la persona offesa al beneficio, dopo aver valutato diversi elementi, tra cui in primis quello relativo al reddito del soggetto interessato.
Come è evidente, si tratta di un criterio interpretativo molto rigido.

Al contrario, un secondo orientamento sostiene l’art. 76, co. 4 ter, D.P.R. n. 115/2002, non vada interpretato in senso letterale e, pertanto, “la persona offesa … può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto” significa che il Giudice deve ammettere sempre al gratuito patrocinio la persona offesa dai reati di cui alla disposizione qui in commento.

Questa seconda impostazione interpretativa oggi è stata avvalorata dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 13497 del 20 marzo 2017, ha affermato che la deroga prevista dall’art. 76, co 4 ter, D.P.R. n. 115/2002 è finalizzata ad eliminare qualsivoglia impedimento, anche e soprattutto economico, che possa ostacolare la persona, che già subisce un grave disagio, a ricorrere in giudizio. A parere della Suprema Corte, il combinato disposto degli artt. 76 e 79 D.P.R. n. 115/2002 non deve essere interpretato in modo meramente formale, altrimenti verrebbe meno la ratio stessa della deroga di cui al comma 4 ter dell’art. 76 D.P.R. n 115/2002.

La Corte, in tal modo, ha chiarito che il criterio reddituale non va considerato nelle ipotesi di reato menzionate dall’art. 76, co. 4 ter, D.P.R. n. 115/2002, in cui è sempre garantito il gratuito patrocinio per le vittime di reati considerati dal legislatore di particolare gravità.

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