Le MULTE non si trasmettono agli eredi del defunto (art. 199 Codice della Strada)

In base all’art. 199 Codice della Strada le multe e le sanzioni amministrative del defunto non si possono trasmettere agli eredi.
Pertanto, qualora gli eredi ricevano una notifica di un verbale di contravvenzione o una cartella esattoriale per violazioni al codice della strada possono chiederne lo sgravio mediante un ricorso in autotutela da inviare direttamente all’Ente creditore ovvero all’Ente preposto al recupero (Equitalia oggi Agenzia Entrate Servizio Riscossione).

Discorso diverso invece per il bollo auto nonché in generale, per le imposte e le tasse gravanti sul defunto o sui beni del defunto le quali, con l’accettazione dell’eredità vengono automaticamente assunte dall’erede il quale, però non è tenuto a corrispondere gli importi dovuti a titolo di interessi e sanzioni. In buona sostanza all’erede, con l’accettazione dell’eredità, si trasferisce il solo debito erariale depurato dagli accessori maturati sino alla morte del dante causa.

A tal fine è bene evidenziare che dei debiti del defunto l’erede risponde con tutti i propri beni presenti e futuri a meno che non abbia accettato l’eredità con beneficio di inventario.
In questo ultimo caso l’erede risponde esclusivamente entro i limiti del valore della eredità e non illimitatamente con tutti i propri beni presenti e futuri.

La Corte di Cassazione sul mobbing immobiliare

Con la sentenza n. 5044 del 28 febbraio 2017 la Corte di Cassazione civile, Sez. III, ha chiarito che può definirsi mobbing immobiliare la condotta dei proprietari di immobili locati che si sostanzi in azioni, anche illegali, dirette a sottoporre i conduttori ad una condizione di stress psicologico.

La questione sottoposta all’attenzione della Suprema Corte riguarda un’opposizione tardiva ad una licenza per finita locazione, con contestuale richiesta di risarcimento danni per le pressioni psicologiche e le azioni esercitate, durante il periodo della locazione, da parte del proprietario dell’immobile in danno dell’inquilino.

Nel caso di specie, la Corte accoglieva il motivo concernente la richiesta di risarcimento danni, che, invece, era stata respinta sia in primo che in secondo grado; la Cassazione ha avuto modo di chiarire che la condotta tipica del mobbing immobiliare è una condotta plurima che viene a configurarsi ogni qual volta sia posta in essere una sequela di azioni concatenate, tutte dirette ad ottenere la liberazione dell’immobile locato e ad estromettere gli inquilini, al fine di utilizzare l’immobile stesso per altri scopi o in relazione ad un piano di trasformazione urbanistica.

Trattasi, pertanto, di una condotta dai caratteri persecutori, che si estrinseca in una molteplicità di azioni pregiudizievoli, reiterate nel tempo, tutte finalizzate a trarre un risultato vantaggioso per il locatore e svantaggioso, sia sul piano materiale che su quello psicologico, per il conduttore.

Avendo, quindi, riscontrato un vizio assoluto di motivazione, la Suprema Corte ha annullato la sentenza di appello relativamente alla parte in cui rigettava la richiesta di risarcimento danni, rinviando la questione ad altra sezione territorialmente competente.

La Cassazione sul decreto ingiuntivo europeo

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 7075 pronunciata il 20 marzo 2017, hanno chiarito che, in tema di ingiunzione europea, i termini per la presentazione del riesame sono quelli stabiliti dall’art. 650 c.p.c. per l’opposizione tardiva.

Come noto, il Regolamento 1896/2006/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, ha introdotto la disciplina del procedimento monitorio europeo al fine di consentire a livello trasfrontaliero il recupero di crediti liquidi ed esigibili non contestati.

La questione giunta all’attenzione della Suprema Corte concerne l’interpretazione dell’art. 20 del suddetto Regolamento europeo che contempla l’ipotesi di riesame dell’ingiunzione in casi eccezionali senza, tuttavia, indicare un termine per la proposizione dello stesso; al contrario, l’art. 16 del Regolamento 1896/2006/CE, che disciplina l’opposizione ordinaria, stabilisce un termine di 30 giorni che decorrono dal momento della notificazione del decreto ingiuntivo.

Al riguardo, le Sezioni Unite hanno affermato che in mancanza di un termine espressamente previsto dalla normativa europea, è necessario rinviare all’ordinamento interno; d’altra parte l’art. 26 del Regolamento 1896/2006/CE stabilisce che tutte le questioni procedurali non trattate dal presente Regolamento devono ritenersi oggetto di disciplina del diritto nazionale e l’art. 29 Regolamento 1896/2006/CE delega agli Stati membri la regolamentazione della procedura di riesame.

Pertanto, il termine per l’istanza di riesame dell’ingiunzione, di cui all’art. 20 Reg. 1896/2006/CE, è quello previsto dall’art. 650 c.p.c., nel caso in cui l’esecuzione non sia iniziata, ovvero quello di cui al comma 3, art. 650 c.p.c., nel caso in cui l’esecuzione sia già iniziata.

Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: la Cassazione esclude l’attenuante del compenso minimo

Con la sentenza n. 9636 pronunciata il 27 febbraio 2017 la Corte di Cassazione, Sez. I penale, ha escluso che il compenso minimo corrisposto all’autore del reato di cui all’art. 12, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), possa configurare un’attenuante ai sensi dell’art. 62,co. 1, n. 4, c.p.

Come noto, l’art. 12, D.Lgs. n. 286/1998, punisce chiunque favorisce illegalmente l’ingresso di stranieri nel territorio dello Stato italiano o di altro Stato del quale la persona non è cittadina né ha titolo per la permanenza.

Il reato punito dall’art. 12, D.Lgs. n. 286/1998, come più volte affermato dalla Cassazione, è un reato di pericolo, pertanto esso si configura per il solo fatto di aver posto in essere una condotta potenzialmente idonea a favorire l’ingresso di stranieri nel territorio dello Stato, a prescindere dal verificarsi dell’evento. Trattasi, quindi, di un reato a condotta libera e a consumazione anticipata.

Nel caso di specie, la Corte di cassazione ha chiarito che ad una siffatta fattispecie criminosa non può applicarsi la circostanza attenuante contemplata dall’art. 62, co. 1, n. 4, c.p., secondo cui attenua il reato l’aver cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di speciale tenuità; la norma in commento, infatti, è finalizzata a tutelare la sicurezza interna dello Stato e a rafforzare la cooperazione, e a tal fine non rileva il conseguimento di un ingiusto profitto da parte del reo.

La Suprema Corte ha, inoltre, sottolineato che, pur volendo ammettere che il reato di cui all’art. 12, D.Lgs. n. 286/1998, contempli, in via residuale, una lesione patrimoniale, questa di certo non potrebbe dirsi di speciale tenuità, giacché arrecata in danno di soggetti che versano in una condizione di disagio, essendo privi di stabile dimora, di reddito e di un lavoro retribuito.

Alla luce delle suddette considerazione, La Corte di cassazione ha, pertanto, accolto il ricorso, annullando senza rinvio la sentenza impugnata nella parte in cui applicava una diminuzione della pena ai sensi dell’art. 62, co. 1, n. 4, c.p.

6198779944 25afbbd60b b Detenzione e diritti umani: il report del Consiglio d'Europa sul sovraffollamento carcerario

Detenzione e diritti umani: il report del Consiglio d’Europa sul sovraffollamento carcerario

Come ogni anno, il Consiglio d’Europa ha reso noti i dati dell’indagine relativa alla situazione carceraria dei Paesi europei, dalla quale emerge che nel biennio 2014/2015 il numero di detenuti è diminuito, sebbene non siano ancora registrabili significativi progressi destinati a superare il problema del sovraffollamento carcerario. Il comunicato stampa DC031 delle statistiche penali annuali del Consiglio d’Europa (SPACE) è dello scorso 14 marzo e rileva una situazione molto critica per almeno 15 Paesi europei, in cui il sovraffollamento carcerario è ancora un’emergenza; in particolare, paesi come la Grecia, l’Albania, la Spagna, l’Italia, la Francia, vengono annoverati tra quelli in cui il problema del sovraffollamento ha assunto caratteri allarmanti.

E’ appena il caso di rilevare che non meraviglia che anche il nostro Paese sia menzionato tra quelli ad alto sovraffollamento carcerario; basti qui ricordare che proprio nel 2013 la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel “caso Torreggiani ed altri contro l’Italia”, ha riscontrato la violazione dell’art 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), secondo cui “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o a trattamenti inumani e degradanti”. In quell’occasione la Corte di Strasburgo stabilì il termine di un anno entro il quale l’Italia avrebbe dovuto rimediare al problema.

Il Legislatore italiano, al fine di fronteggiare la situazione, è intervenuto dapprima con il decreto legge 1 luglio 2013 n. 78 (convertito in legge 9 agosto 2013 n. 94) e successivamente con il decreto legge 23 dicembre 2013 n. 146. Tra le modifiche più significative, si ricorda la liberazione anticipata speciale, consistente nella detrazione di 75 giorni di detenzione (e non più di soli 45 giorni) per buona condotta.

Sebbene le modifiche apportate in seguito alla sentenza Torreggiani abbiano determinato un leggero miglioramento, il sovraffollamento carcerario, tuttavia, resta nel nostro Paese un serio problema emergenziale.

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