Bollette Pazze – Onere della Prova

Cassazione civile, Sezione VI-3, Ordinanza 06/03/2019 n° 6562
La Suprema Corte ha nuovamente ribadito il principio secondo cui, in tema di contratto di somministrazione, la rilevazione dei consumi mediante contatore è assistita da una mera presunzione semplice di veridicità, sicché, in caso di contestazione, grava sul somministrante l’onere di provare che il contatore fosse perfettamente funzionante.
Infatti, in tema di riparto dell’onere della prova, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo.
La Corte ha ritenuto inadeguata la motivazione della Corte di Appello che aveva ritenuto provato il diritto del Fornitore in base alla sola produzione delle bollette.

La Cannabis Legale

Cannabis legale conseguenze sulla salute psichica e fisica 680x365 La Cannabis Legale

La Legge 242/2016 ha introdotto importanti novità sulla produzione della Cannabis Sativa per uso industriale.

La legge consente agli agricoltori di coltivare determinate qualità di piante di Cannabis certificate senza la preventiva autorizzazione delle autorità.

Il Coltivatore è obbligato a conservare i cartellini delle sementi utilizzate per un periodo non inferiore a 12 mesi.

I controlli possono essere effettuati da tutti gli organi di Polizia i quali devono verificare l’adempimento dell’obbligo di conservazione dei cartellini delle sementi da parte dei coltivatori. Il tasso di THC presente nelle piante e nei suoi derivati non deve essere superiore al 2% tuttavia sono tollerate percentuali di THC contenute entro il limite del 6%.

Per le colture non si possono utilizzare sementi auto prodotte da quelle certificate e acquistate l’anno precedente, quelle che hanno dato frutto alle coltivazioni.

La Cassazione penale, sez. VI, con la sentenza 17/12/2018 n° 56737, sulla scorta di quanto stabilito dalla Legge 242/2016 ha applicato in bonam partem la normativa emanata in favore dei coltivatori, di fatto depenalizzando le condotte di detenzione, cessione uso e vendita di cannabinoidi nel caso in cui il tasso di THC rinvenuto nelle sostanze sia inferiore al 2%.

Avv. Giuseppe Poerio

 

 

Incidente a scuola: responsabilità dell’Istituto o del Ministero?

Al fine di determinare la responsabilità e la conseguente legittimazione passiva al risarcimento nel caso di incidente verificatosi in orario scolastico all’interno dell’Istituto o nelle aree pertinenziali è necessario aver riguardo alla natura Privata o Pubblica dell’Istituto ed alle concrete modalità di verificazione dell’evento.
Nel caso di Scuola Privata, infatti, la responsabilità è sempre da ricondurre all’Istituto in virtù del duplice rapporto contrattuale che lega l’Istituto allo studente/allievo da un lato e all’insegnate dall’altro indipendentemente dalle modalità del sinistro.
In base alle comuni regole privatistiche, infatti l’Istituto risponde per il sinistro occorso nello svolgimento delle attività scolastiche sia per responsabilità contrattuale che extracontrattuale (per il fatto illecito del proprio dipendente legato all’Istituto a un diretto rapporto di lavoro).
Al contrario, il personale docente degli Istituti Statali di Istruzione, si trova in rapporto organico con l’Amministrazione Statale e non con il Singolo Istituto, con la conseguenza che, per effetto dell’art. 61 della legge 11 luglio 1980, n. 312, sono riferibili direttamente al Ministero della Istruzione i comportamenti, anche illeciti, posti in essere dagli insegnanti del suddetto personale docente, sicché sussiste certamente la legittimazione passiva di detto Ministero nelle controversie relative agli illeciti ascrivibili a “culpa in vigilando” degli stessi docenti. La responsabilità dell’Istituto resta circoscritta e limitata alle ipotesi residuali in cui sia ravvisabile l’omissione delle cautele necessarie ad impedire la verificazione degli infortuni.
Nel caso di Istituto Pubblico rilevano anche le modalità di verificazione del sinistro dal momento che qualora l’evento sia direttamente riconducibile ad un rapporto con la cosa (come un crollo o la folgorazione per fili elettrici scoperti), la responsabilità sarà quella prevista dall’art. 2051 codice civile per le cose in custodia gravante sull’ente proprietario e su tutti i soggetti tenuti alla manutenzione.

 

MEDIAZIONE: Mancata adesione e mancata partecipazione

L’art. 8 Decreto Legislativo 28/2010 prevede che dalla mancata partecipazione ovvero dalla mancata adesione senza giustificato motivo alla mediazione obbligatoria o delegata dal Giudice possano derivare tre conseguenze sul piano processuale:
– il Giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c. potrà desumere da tale comportamento argomenti di prova ai fini della decisione della Causa
– Il Giudice potrà eventualmente ritenere la condotta rilevante ai fini di una condanna della parte per Responsabilità Processuale Aggravata ex art. 96 c.p.c. con conseguente condanna della parte soccombente al pagamento di un ulteriore risarcimento del danno da liquidarsi equitativamente
– Il Giudice potrà infine condannare la parte inottemperante alla Mediazione al pagamento di un importo pari al Contributo Unificato da versare in favore dell’Erario (Cassa delle Ammende)
Alla mancata partecipazione è equiparata la mancata adesione alla Mediazione adducendo motivazioni attinenti al merito.
La parte infatti, non può dichiarare di non aderire alla motivazione deducendo motivazioni attinenti al merito che, in quanto tali, devono essere necessariamente espresse in sede di Mediazione successivamente alla dichiarazione di adesione. La preventiva dichiarazione di non adesione, pertanto può essere giustificata solo ove la mancata adesione appaia immediatamente giustificata senza la necessità di entrare nel merito della vicenda in ipotesi limitate e residuali quali: eccezione di incompetenza per territorio o per materia ovvero difetto di legittimazione, genericità della domanda.
In tutte le altre ipotesi la parte chiamata è sempre tenuta alla effettiva e concreta partecipazione alla procedura di mediazione quando la mediazione rappresenti condizione di procedibilità della domanda ovvero quando la mediazione sia stata ordinata dal Giudice
In tal senso Tribunale di Vasto dott. Pasquale Ordinanza 06.12.2016

Coltivazione domestica di marijuana per uso personale

Secondo il più recente orientamento della Cassazione, il reato di coltivazione domestica di marijuana non sussiste per inoffensività della condotta.
La Cassazione Sez. VI Penale, con la Sentenza n. 5254/2016, ha stabilito il principio secondo cui la condotta di coltivare una o più piante destinate alla produzione di stupefacente non è di per se rilevante penalmente se non nel caso in cui la coltivazione e la successiva produzione di stupefacente sia finalizzata alla cessione ed al consumo da parte di terze persone e non invece quando la produzione sia finalizzata all’uso strettamente personale del coltivatore.

A parere della Corte, infatti, la coltivazione e la produzione di modesti quantitativi di stupefacente finalizzata all’esclusivo uso personale, non rappresenta condotta di tale gravità da fare ritenere superata la soglia di concreta offensività rispetto al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice (Salute Pubblica). In tal senso Cfr Cass. VI Penale Sentenza n. 40030/2016.

Tale nuovo orientamento sovverte e supera quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la Sentenza 28605 del 2008 che, invece aveva ritenuto comunque integrata la condotta delittuosa della coltivazione anche di una sola pianta corrispondente al tipo botanico vietato indipendentemente dalla finalità (ornamentale) o dalla destinazione per l’uso personale.

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